A colloquio con Jancis Robinson, Fiona Morrison e Rosemary George – Corriere Vinicolo 26 aprile 2010

Tre Master of Wine ci spiegano
i progressi e i limiti dei nostri vini
in Uk. Note positive, stiamo esaltando
di più i nostri territori. Nota dolente,
l’etichettatura non li riesce
a comunicare

di Filippo Magnani

Il Regno Unito rappresenta per le esportazioni vinicole
italiane il secondo mercato di sbocco a livello europeo e
il terzo a livello mondiale, dopo Germania e Stati Uniti.
Nonostante ciò, il mercato inglese, realtà dinamica e in
espansione, presenta numerose complessità da affrontare.

I vini del Bel Paese devono competere con la tradizionale propensione degli inglesi verso i francesi (seppur in calo negli ultimi anni) e quelli provenienti dal Nuovo mondo.

Si tratta di un palcoscenico che ingolosisce tutti i produttori ma la gamma di sceltache vi si offre è ampia e di conseguenza la competizione spietata.
Il successo dei produttori australiani e statunitensi si basa ad esempio sulla semplicità della scelta per i consumatori inglesi, su politiche di comunicazione molto efficaci e su economie di scala che hanno favorito i rapporti con la grande distribuzione organizzata.
Come evidenziato dai tassi di crescita del consumo, gli abitanti del Regno Unito bevono sempre meno birra e sempre più vino. Negli ultimi 15 anni il consumo di questa bevanda è cresciuto del 75%, mentre quello di birra registra una contrazione del 13%. Gli inglesi prediligono i vini bianchi (circa il 48% delle vendite) rispetto ai vini rossi (circa il 44%) e la scelta delle varietà di vino è influenzata da una parte da fenomeni legati a mode del momento e dall’altra dalla capacità di risposta dei grandi gruppi produttivi e distributivi. Nel corso del 2009, secondo una recente indagine, 18 milioni di famiglie britanniche (su un totale di circa 25 milioni) hanno acquistato vino presso supermercati, catene off-licence e piccoli
shop, con una media di 22 volte l’anno.La realtà anglosassone merita, a tutti gli effetti, di essere approfondita più da vicino e in occasione del Vinitaly abbiamo chiesto il parere a tre esperte del settore, tre Master of Wine: Jancis Robinson,
Fiona Morrison e Rosemary George.

Ecco le loro valutazioni.

Quali valutazioni si possono fare in merito all’attuale mercato dei vini italiani in Uk?
JR – In generale lo standard italiano è alto e c’è un’enorme varietà
di vini. Per citare degli esempi, si va dai grandi piemontesi, forse
un po’ troppo costosi, al mercato di massa costituito dal Pinot grigio che ha conquistato importanti quote di mercato in passato ma
oggi forse è troppo scontato.

FM – Nell’insieme sono ottimi. I vini italiani non hanno sofferto
il confronto rispetto ai vini francesi che hanno dato un’immagine
molto tradizionale. Per questi ultimi, si percepisce un gap tra i vini
di alto livello (les grand vins) e i vini più economici e commerciali,
mentre in Italia si è saputo colmare questo dislivello.

RG – Amo quei vini italiani che sono meravigliosamente originali
con un’enorme diversità di vitigni, varietà e sapori. I peggiori sono
quelli che non mettono in evidenza le fantastiche potenzialità
dell’Italia come i superestratti, i barricati, e quelli standardizzati
al gusto internazionale.

Si è creato in questi anni uno stile di vino italiano nettamente percerpibile?

JR – Negli ultimi anni c’è stata una notevole omogeneizzazione
per cui forse molti vini sono stati creati solo per essere “grandi “ e
“internazionali”.

FM – Alcuni vini italiani sono divenuti più moderni. La maggiore
attenzione all’igiene in cantina e una propensione alle innovative
tecniche di lavorazione, negli anni, hanno tolto ai vini i problemi
di volatile e di piccoli odori sgradevoli. L’attuale stile è stato costruito su questo, tuttavia credo che ci sia una fuga dai vini molto
concentrati e tannici, super-barricati, quindi un ritorno alle origini in un modo più netto, chiaro e pulito.

RG – Negli anni Settanta il mercato è stato prevalentemente influenzato da messaggi pubblicitari del tipo “vino italiano sei il mio
sole splendente”. Questo ha contribuito a divulgare l’immagine di
un vino di basso costo e accessibile a tutti. Poche aziende producevano vini veramente autentici (Toscana e Piemonte) e non erano
supportate da adeguate azioni promozionali. Successivamente si
è puntato molto sui vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon. A oggi c’è una maggiore presa di coscienza delle potenzialità
di quello che il vostro Paese può dare in termini di varietà di uve
e terreni. Vedo difficile la creazione di un unico stile italiano con
così tanta ricchezza di vini.Le aree di produzione francesi sono ben identificate.

Per l’Italia è lo stesso?

JR – Direi che a oggi tutte le regioni italiane esprimono le peculiarità dei loro vini che corrispondono abbastanza all’immagine di
mercato. Tuttavia il grande pubblico non conosce bene in profondità le differenza di vini e vitigni di ogni regione. Credo che l’etichettatura potrebbe essere più chiara per i consumatori stranieri.
Mi piacerebbe che il nome della regione di provenienza fosse ben visibile in etichetta.

FM – Alcune regioni stanno acquisendo molto fascino, come la Sicilia, ma ritengo che per le cantine non localizzate nelle regioni
più conosciute sia più difficile posizionare i propri vini sul mercato. I vini provenienti dalle Marche e dalla Campania ne sono un
esempio.

RG – Credo che le regioni italiane del vino siano abbastanza complicate da comprendere per il consumatore medio straniero. L’Italia deve fare di più per promuovere le proprie diversità, il problema è la molteplicità delle vostre regioni.

Quali sono le regioni italiane a maggiore potenziale di sviluppo nella produzione di vino?

JR – Credo potrebbero essere Alto Adige, Emilia Romagna, Umbria,
Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna. Hanno tutte ottime potenzialità.

FM – La Sicilia. I vini prodotti sull’Etna sono veramente interessanti e credo che anche l’Umbria abbia ancora un notevole potenziale da esprimere.

RG – La Sicilia sarà sempre più conosciuta, così come la Puglia, le
Marche e l’Abruzzo.

Tra i più noti vitigni autoctoni italiani ci sono Sangiovese e Nebbiolo: qual è invece la percezione dei consumatori rispetto agli altri vitigni autoctoni?

JR – Ci sono molte varietà di vitigni italiani che devono essere ancora scoperte da parte degli appassionati internazionali di vino
e non solo. Assieme alla mia assistente, Julia Harding MW, e al
botanico Jose Vouillamoz sto scrivendo un nuovo libro sui vitigni.
Solo all’Italia abbiamo dedicato 15 mesi.

FM – Il consumatore medio non conosce molto rispetto ai vitigni
autoctoni italiani. Ha probabilmente sentito parlare di Sangiovese e Pinot grigio ma ne ignora le regioni di provenienza. Di base
il consumatore vuole conoscere il gusto di un vino, la pietanza
alla quale si addice e quando deve essere bevuto. è semplicemente su questo che i consorzi devono improntare le loro politiche di
marketing.

RG – Nel mercato Uk è il Pinot grigio quello più conosciuto, che
non rispecchia assolutamente la realtà dei vitigni italiani. Riportare le varietà e la regione di provenienza sulle etichette potrebbe
aiutare.

L’attuale classificazione del vino italiano, a prescinderedalla nuova normativa europea, è abbastanza chiara?
Quali suggerimenti potreste dare per farla conosceremeglio ai consumatori?

JR – Penso che tutti i vini italiani dovrebbero avere una retroetichetta dove si spiegano brevemente i vitigni base del vino, le modalità di produzione e d’invecchiamento in riferimento alla Doc o
Docg di origine. Come ho detto, insieme alla dicitura Doc o Docg,
sarebbe importante evidenziare bene la regione di provenienza
sul fronte bottiglia.

FM – Il consumatore non conosce il significato delle classificazioni italiane. Da parte delle autorità preposte è necessario un maggior lavoro che distingua le diverse tipologie anche alla luce della
nuova normativa europea.

RG – Il fatto che un vino Igt possa essere più o meno costoso di un
vino Docg, ad esempio, talvolta crea confusione. Sarebbe quindi
auspicabile maggiore chiarezza e semplicità.

 

Jancis Robinson
è columnist per il “Financial
Times”, editore del “The
Oxford Companion to Wine”
e coautore del “The World
Atlas of Wine”; cura il sito
www.jancisrobinson.com.

Fiona Morrison
ha al suo attivo numerose
collaborazioni con riviste in
Belgio, Francia, Usa e Uk.
Nel 2010 ha organizzato il
simposio dei Master of Wine
a Bordeaux ed è coinvolta in
molti progetti di consulenza
sul vino.

Rosemary George
è autrice di 11 libri tematici
sul vino, tra i quali due volumi
sulla Toscana: “Treading
Grapes” (1990) e “Walking
through the Vineyards of
Tuscany” (2004).

Filippo Magnani

Tuscany – Italy
T: +39 335 53 477 04
O: +39 0565 82 70 44
E: fm@filippomagnani.it

© Filippo Magnani

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