Italiani, cosa aspettate a fare del buon marketing in UK? Intervista a Jane Hunt – Corriere Vinicolo

E ciò significa imparare a promuovere sotto il grande ombrello di un brand “Italia”.
Difficile immaginare la partecipazione di tutti i migliori giornalisti inglesi e di 500 ospiti
a una degustazione per un singolo Doc. Insomma, o si impara a collaborare o il rischio è di limitare le opportunità
dell’interessante e variegata offerta enologica made in Italy. La lucida disamina della MW Jane Hunt

di Filippo Magnani 

 

Chi è Jane Hunt?

Master of Wine dal 1985, Jane Hunt lavora nel mondo del vino in Uk e negli anni si è occupata di vari ruoli, tra cui PR, marketing,
responsabile vendite e acquisti. Dal 1999 gestisce – con la sua socia in affari Tina Coady – la Hunt & Coady Ltd, specializzata
nell’organizzazione di eventi legati alla degustazione di vini. Tra questi, “The Definitive Italian Wine Tasting” e “France Under
One Roof”, di cui l’anno scorso si sono tenute, rispettivamente, la sedicesima edizione consecutiva e la tredicesima edizione
consecutiva. Dal 2007 organizzano anche la competizione annuale dell’Argentina Wine Awards, che si svolge a Mendoza. Jane Hunt
ha vissuto anche in Italia dal 1973 al 1976, lavorando per le Cantine Lungarotti. E proprio nel nostro Paese, dopo aver acquistato una
vecchia casa colonica – e averla ristrutturata – vicino a Marsciano, in Umbria, trascorre circa 5 mesi all’anno.

 

Vino italiano in Uk, ovvero in uno dei mercati più
competitivi, dove la Gdo e le sue politiche commerciali, così come il fattore prezzo delimitano spesso
il margine di azione dei produttori vinicoli e influenzano il posizionamento dei loro prodotti. Un
mercato che dovrebbe essere meglio presidiato, con oculate azioni
di marketing e promozione “nazionale”, per poter aumentare la capacità competitiva dei nostri prodotti e aprire la strada all’ampia
e interessante varietà dell’offerta enologica made in Italy, che oggi
– al di fuori della ristretta cerchia dei consumatori esperti o della
ristorazione di alto livello – rischia di perdersi e passare inosservata.
La lucida disamina di Jane Hunt, Master of Wine, e ottima conoscitrice dei vini italiani.

Jane, come valuti l’approccio dei produttori italiani
al mercato inglese?
È un dato di fatto che gli acquisti vinicoli dei consumatori nel Regno Unito sono fortemente indirizzati al canale della Grande distribuzione, anche a causa della chiusura, negli anni 90, di molte
delle nostre catene specializzate nella vendita al dettaglio. E nella
Grande distribuzione il prezzo è un elemento molto delicato. Credo
che le attuali statistiche mostreranno che più del 70% di tutti i vini
commercializzati nel Regno Unito nell’off trade è venduto nei supermercati, con un prezzo medio a bottiglia di 5 sterline.
Ora, l’Italia non ha mai implementato un’adeguata azione di marketing relativamente a un generico marchio “Italia” (un percorso
di grande successo seguito invece dall’Australia e dalla Nuova Zelanda), di conseguenza l’immagine del vino italiano – al di fuori dei
negozi specializzati o dei ristoranti quotati – rimane quella di un
vino economico.
Credo poi che i produttori non siano aiutati anche dal fatto che le
regioni, così come le diverse denominazioni non collaborano. Ed è
molto difficile promuovere l’Italia quando ciò deve essere fatto singolarmente, regione per regione, Doc per Doc. I produttori devono
ricordarsi che nel Regno Unito vendiamo vino proveniente da tutto
il mondo e piccole regioni o piccoli consorzi Doc possono semplicemente perdersi o passare inosservati.

Qual è il posizionamento medio dei vini italiani in UK?
Riflette il potenziale dell’enologia italiana di oggi?
Non ho le statistiche sotto mano per rispondere a questa domanda
ma la mia ipotesi è che se estrapoliamo il Pinot grigio e il Prosecco
da questa statistica, le vendite di altri vini italiani nel Regno Unito
sono di gran lunga inferiori di quanto vorremmo credere. Di nuovo,
la necessità di una commercializzazione generica di buona qualità
di un brand Italia per i vini italiani è e sarà sempre un elemento
essenziale! Io come altri lo diciamo da più di 20 anni e non succede
niente, nessuno ci ascolta…!
Dunque, pur dopo molti anni, il commercio di vini italiani
in Uk è abbastanza limitato: Pinot grigio, Prosecco, vini
toscani e piemontesi e qualcos’altro. Considerando però la
grande varietà di vini prodotti in Italia, forse qualcosa non
funziona come dovrebbe… Cosa ne pensi?
Il Pinot grigio è un prodotto poco costoso, facile da pronunciare, con
un gusto sostanzialmente neutrale, caratteristica di cui molti consumatori sono contenti. Inoltre la sua commercializzazione ha una
lunga storia: S. Margherita è stata la prima e ha avuto un grande
impatto anche nel lontano 1970! Il Prosecco, ancora un’economica
alternativa allo Champagne, ha un gusto neutro con una maggiore
attrattiva rispetto al Cava spagnolo e anche lui è facile da pronunciare… La Toscana ha il Chianti, probabilmente il nome più noto di
tutti i vini italiani. Il Piemonte credo che abbia vendite più basse
anche se i vini sono ottimi.
Per tutti gli altri vini italiani, il Regno Unito aveva e ha due tipi
di importatori. I tradizionali importatori italiani – Belloni, Alvini,
Bravo ecc. – che hanno generalmente mantenuto rapporti con produttori tradizionali e vendono vini ai ristoranti tradizionali ecc.,quindi non molto esaltante! L’altro tipo di importatore è l’importatore inglese italofilo – Liberty Wines, Winetraders, Mille Gusti, For
the Love of Wine ecc. – che ha importato e promosso l’incredibile
e meravigliosa varietà di vini che l’Italia produce. L’opportunità di
vendere grandi volumi di questi tipi di vini è però difficile al di fuori
dei negozi specializzati e del settore della ristorazione a causa sia
del prezzo sia della consapevolezza dei consumatori (la mancanza
di una commercializzazione di un generico marchio Italia si fa sentire anche in questo caso)

Negli ultimi anni è esploso il fenomeno Prosecco.
Come lo spieghi? Durerà?
Come dicevo, il Prosecco è un’economica alternativa allo Champagne, ha un gusto neutro con una maggiore attrattiva rispetto al
Cava ed è facile da pronunciare per un inglese. Quindi: buon prezzo,
vino semplice, momento giusto e posto giusto. Non vedo motivo per
cui il fenomeno non dovrebbe durare.

Secondo te quali sono le nuove regioni italiane
con il maggiore potenziale per la produzione vinicola?
Direi senza esitazione che la Sicilia ha un grande potenziale ma
ha bisogno di un consistente supporto per una promozione generica e questo è il suo problema. La Sardegna ha potenziale, ci
sono alcuni Vermentini eccellenti. E per quanto riguarda i vini
rossi Agricola Punica e Argiolas dimostrano che si possono produrre dei rossi superbi. Ma c’è ancora molto lavoro da fare per
alzare lo standard tra i produttori.
E, come abbiamo mostrato alla recente degustazione “Discovering the New Italy” all’IMW Symposium, c’è tutta una serie di
vini favolosi che provengono da produttori di regioni pressoché
sconosciute che usano varietà altrettanto sconosciute: Timorasso del Piemonte, Tintilia del Molise ecc.
Non mi prenderei mai la briga di cercare i vini italiani ottenuti
da varietà “internazionali”, ad eccezione forse di vini di altissimo livello come Masseto, Solaia ecc. Ci sono molti altri Paesi
che fanno queste varietà internazionali meglio dell’Italia.

Cosa pensi in generale della promozione dei vini italiani
nel tuo Paese?
In poche parole, molto scarsa nel complesso. L’Italia è ossessionata dall’individualismo che, se da un lato è un grande patrimonio perché si traduce in un’offerta estremamente varia e
interessante, dall’altro non è certo l’atteggiamento ideale per
promuovere i propri vini. I singoli produttori e i vari Consorzi
devono considerare di collaborare insieme quando non c’è conflitto di interesse. Questo porterebbe un pubblico maggiore. È
ridicolo immaginare, come alcuni fanno, la partecipazione di
tutti i migliori giornalisti inglesi e di 500 ospiti a una degustazione per un singolo Doc!
Altro discorso è quello della promozione istituzionale. Qualsiasi cosa faccia l’Italia per promuovere
un marchio Italia per i suoi vini, deve avere un
approccio coerente e mirato al marketing. Nel Regno Unito c’è una lunga storia di spreco di denaro in
eventi in hotel prestigiosi, con pranzi molto costosi e
ospiti invitati da una lista così obsoleta da essere imbarazzante (anche invitando persone che erano morte
da parecchi anni!) e non concentrandosi assolutamente
sull’obiettivo che l’evento sperava di raggiungere!

Quali sono secondo te le maggiori differenze tra l’Italia
e la Spagna potrebbe essere il prossimo vero concorrente
per i vini italiani nel Regno Unito?
L’Italia ha una reputazione migliore rispetto alla Spagna praticamente su tutto: arte, design, meta per le vacanze, moda, cibo
ma non in modo specifico,secondo me, per il vino. Ma la Spagna
ha una buona e lunga reputazione per campagne di promozione ben organizzate e finanziate adeguatamente già a partire
da Rioja nel 1970; “Wines of Spain” lavora similarmente all’australiano Wine Bureau e al neozelandese Wine Guild e ha un
chiaro vantaggio sull’Italia sulla questione marchio “Spagna”.
Credo però che forse i vini spagnoli, a parte il Rioja, non abbiano raggiunto i livelli qualitativi o il fattore sorpresa/stupore che
sarebbero necessari per abbinare gli sforzi promozionali. L’Italia possiede i livelli qualitativi e il fattore sorpresa/meraviglia,
tutto ciò ha però bisogno di promozione appropriata.

Sotto la pressione dei distributori, australiani e
sudafricani hanno nel corso degli anni convertito
una parte della loro produzione dalla bottiglia allo sfuso,
imbottigliando direttamente nel Regno Unito. Lo stesso
fenomeno comincia a coinvolgere il vino cileno. Pensi che
prima o poi anche l’Italia avrà bisogno di prendere questa
direzione?
Un’occasione allettante ma vi prego di non lasciare andare l’Italia su questa strada.

Filippo Magnani

Tuscany – Italy
T: +39 335 53 477 04
O: +39 0565 82 70 44
E: fm@filippomagnani.it

© Filippo Magnani

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